In questi giorni la Grecia ha introdotto la possibilità, per i datori di lavoro di alcuni comparti produttivi, di chiedere un extra giorno di lavoro contrattualmente disciplinato ai propri lavoratori. Si potrà passare quindi da 5 a 6 giorni a settimana, da 40 ore settimanali a 48: viene legalizzata la settimana lunga.
Il tutto in contro tendenza con altri stati europei dove si sperimenta una nuova organizzazione del lavoro basata su settimana corta ed efficienza lavorativa, sostenendo che una riduzione delle ore lavorative porta ad una maggiore concentrazione e minori livelli di stress.
Perché? La motivazione viene da lontano a ben vedere. Di settimana lavorativa lunga se ne è parlato già ai tempi del default della Grecia, quando i partner europei, qualcuno almeno, informalmente ha chiesto di inserire negli accordi per il bailout l’incremento dell’orario settimanale di lavoro (vedi https://www.bbc.com/news/business-19491266).
Allora non se ne fece niente, ma quest’anno il tema è tornato a tenere banco e dal 1° luglio 2024 diventa legale chiedere al proprio personale di svolgere una giornata in più di lavoro. In questo modo la Grecia vuole stimolare la produttività e supportare l’economia nazionale in un periodo di sfide economiche crescenti.
Questa scelta sembra dettata anche da una carenza di “manodopera qualificata in molti campi, dovuta alla massiccia emigrazione di giovani negli ultimi anni. La popolazione greca è scesa dagli 1,1 milioni di persone del 2009 ai 10,3 milioni di oggi, e dovrebbe continuare a declinare nei prossimi decenni” (https://forbes.it/2024/06/27/settimana-lunga-grecia-lavoro-sei-giorni-sette/).
La questione demografica è nota anche in Italia e le criticità che incontreremo possiamo già vederle, come in questo caso in Grecia. Spesso ci confrontiamo con organizzazioni che fanno fatica a trovare personale, soprattutto nel settore della cura alla persona, o in quegli ambiti dove è difficile gestire gli orari compatibilmente con gli impegni di vita e familiari (esempio: lavori su turni con comunicazione tardiva degli stessi). Infatti è proprio in questi ambiti che in Grecia si potrà chiedere l’aggiunta di un giorno lavorativo: organizzazioni strutturate con orario di lavoro 24/24, organizzazioni industriali e manifatturiere.
Ad ogni modo, questo cambiamento solleva importanti questioni sul benessere dei lavoratori e l’equilibrio tra vita lavorativa e personale:
- Risvolti per chi non aderisce alla richiesta: le persone che non aderiscono alla richiesta di aggiungere un giorno lavorativo, qualsiasi sia la motivazione, potrebbero trovarsi in condizioni lavorative e contrattuali meno favorevoli, potenzialmente influenzando la loro stabilità lavorativa e progressione di carriera.
- Sfide nel work-life balance: la gestione dell’equilibrio tra vita lavorativa e personale diventa particolarmente complessa, soprattutto per le donne, che spesso si trovano a gestire maggiori responsabilità familiari, i famosi carichi di cura e le attività di caregiver non retribuita, erogate gratuitamente si alla famiglia e ai famigliari, ma sollevando così l’intero sistema sociale della necessità di strutturare dei servizi specifici.
- Divario salariale: si amplifica il divario salariale, considerando che la giornata aggiuntiva viene remunerata con un incremento salariale del 40% in più delle altre giornate lavorative e le aziende potranno offrire incentivi come la formazione gratuita ai dipendenti. Mi chiedo a questo punto quale ruolo avrà il welfare aziendale in un sistema così frammentato.
- Sicurezza sui luoghi di lavoro: uno studio finlandese riporta un incremento dei tassi di infortunio nel caso di giornate lavorative che passano da 8 a 10 ore (“A review of eight studies showed that the risk of occupational injury was 41% higher for 10-hour working days compared to 8-hour working days. On the other hand, working 12-hour days increased the risk of occupational injury by 14%” https://www.researchgate.net/publication/228708597_Shift_Work_and_Extended_Working_Hours_as_Risk_Factors_for_Occupational_Injury#:~:text=A%20review%20of%20eight%20studies,of%20occupational%20injury%20by%2014%25). Oltre ad essere una questione etica e sociale, chi pagherà l’eventuale incremento dei costi per gli infortuni sui luoghi di lavoro?
📈 Modello con settimana corta per lavorare sull’efficienza e sulla produttività ovvero settimana lunga per rispondere alla carenza di personale qualificato. Queste tendenze di lavoro opposte riflettono approcci diversi alla produttività e al benessere dei lavoratori. Quale modello potrebbe essere più sostenibile in tutti i sensi a lungo termine? Come viene influenzato il tessuto sociale ed economico dei paesi da queste scelte?
Molte organizzazioni che seguiamo sperimentano già la settimana corta, magari non per l’intera annualità ma per specifici periodi dell’anno. Organizzazione e metodo sono alla base di questo approccio: da una parte si chiede uno sforzo maggiore al personale, concentrato sulle attività e sull’impiego del tempo, ma dall’altra si incrementa lo spazio del tempo libero da dedicare ad attività diverse (sport, salute e benessere, cura delle persone care, studio, e molto altro). In questo modo si può lavorare in maniera diversa anche sugli spostamenti casa/lavoro, attivando dei progetti di lavoro da remoto che coincidono con l’ipotetica giornata corta della settimana che contribuisce così alla settimana corta.
Le sperimentazioni che possono essere introdotte sono molteplici ma non possono prescindere dal confronto con il personale e dalla loro collaborazione nella fase di analisi dei bisogni e progettazione degli interventi.
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Per approfondimenti sul tema della demografia, segnaliamo anche il webinar di Vorrei Sas “Demografia – impatto sulle organizzazioni”
https://www.youtube.com/watch?v=yo-KkmXpK88&ab_channel=VorreiSas